“Se la Grecia vuole restare in Europa deve fare sacrifici. Come abbiamo fatto tutti”. Così il vice-premier portoghese Portas commentava, giorni fa, la nuova crisi del debito ellenico. Una severità comprensibile solo a fronte della fatica fatta da Lisbona per liberarsi del giogo della “troika”.
Quattro anni fa il salvataggio da 78 miliardi di euro dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale. Un anno fa l’uscita dal piano. Un risultato conseguito con lacrime e sangue: tagli alla spesa, flessibilità, privatizzazioni, abbandono degli ammortizzatori sociali e riforme praticamente in ogni ambito.
I sostenitori delle politiche di rigore guardano al Portogallo come ad un caso di successo. Il deficit è sceso di due terzi, il Paese è tornato a rifinanziarsi sui mercati del debito e, dopo tre anni di recessione, il Pil è tornato ad espandersi trainato dall’export. Le previsioni indicano una crescita dell’1,6% quest’anno.
Ma il Portogallo è un Paese profondamente cambiato. E gl