Mistero Gelbison: Monte sacro o del ferro?

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Nel cuore del Cilento, il monte Gelbison si erge maestoso. Le sue acque sorgive, un tempo considerate sacre, avevano il potere di curare corpo e anima. Oggi, la montagna continua ad attrarre pellegrini e viaggiatori, offrendo un’esperienza che trascende il semplice paesaggio. La vetta esercita un’attrazione magnetica: i locali e gli emigranti vi fanno ritorno per riappropriarsi di una parte di sé;
chi scopre il panorama per la prima volta vive un’emozione travolgente. Il contrasto tra l’austera roccia e il cielo crea un’atmosfera sospesa, un ponte tra i mondi che offre una vera tregua spirituale. Il rito del pellegrinaggio, tramandato di generazione in generazione, è ormai diventato un simbolo identitario delle popolazioni locali. Tuttavia, l’origine del toponimo "Gelbison" rimane avvolta nel
mistero. Già nel 1131, l’abate Leonzio menzionava la Ruptis Sanctae Mariae – la “roccia santa di Maria”. I resti archeologici presenti, inaccessibili al pubblico, non sono mai stati oggetto di analisi. Sebbene sia difficile datarli con precisione, indicano che il sito fosse già frequentato in epoche anteriori all'abate. Eppure, il termine Gelbison compare solo nel XVII secolo. Una delle credenze più diffuse fa risalire il nome all'arabo Jabal al-Sanam, “montagna dell’idolo”, una spiegazione affascinante ma priva di conferme scientifiche. Questa teoria compare per la prima volta in una nota anonima pubblicata nella rivista Rassegna Cattolica, ma non è mai stata verificata. Per fare chiarezza sulla questione, ho intervistato Luigi Vecchio, archeologo cilentano e docente presso l’Università di Fisciano. Grazie a recenti ritrovamenti di manufatti in ferro nel sito di EleaVelia e di Caselle in Pittari, Vecchio ha sviluppato una nuova tesi sull'origine dell'oronimo, mostrando scetticismo riguardo all’origine araba: « Anche il filologo semitico Riccardo Contini condivide questa opinione. Le incursioni saracene documentate si concentrarono lungo la costa, senza una penetrazione nell’entroterra sufficiente a giustificare un toponimo». Gli attacchi a Punta Licosa e Agropoli,
avvenuti nel IX secolo, non bastano a spiegare una simile influenza linguistica. L’antichista propone invece una spiegazione diversa, legata al termine tedesco Gelbeisen, che si riferisce a rocce ferrose di colore giallo-rossastro: «Le pendici sud-occidentali del Gelbison sono
ricche di terre rosse, cariche di minerali ferrosi», spiega Vecchio. «Questa ricchezza è stata sfruttata per secoli, come attestano le ferriere attive nella zona, tra cui quella del feudo di Novi, già documentata nel 1563. » Il borgo, oggi conosciuto come Novi Velia, ha sempre avuto un legame strettissimo con la montagna, non solo per la sua vicinanza geografica, ma anche per il suo ruolo storico e amministrativo. « Gelbeisen potrebbe essere stato introdotto da maestranze liguri, attive nella zona a partire dal XVI secolo, e si sarebbe poi modificato nella pronuncia attuale, come accade alla maggior parte dei toponimi» conti

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