Chi fu Gianni Brera, il sommo “raccontista” dello sport italiano

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«Mistero senza fine bello». Era questo il gioco del calcio per il maggiore dei suoi poeti, il sommo “raccontista” del pallone: Gianni Brera, il più grande giornalista sportivo italiano. Sono passati trent’anni dal giorno in cui fu portato via da un frontale notturno. «Un colpo secco e via», come si augurava lui. In mezzo secolo di vita, ha regalato al calcio nei suoi ruggenti anni un vocabolario sorprendente, coniando neologismi come “libero”, “centrocampista”, “contropiede” e “goleador”. Brera battezzò giocatori come Riva, Oriali, Rivera e benedì la forma forse più italica del calcio giocato: il catenaccio in difesa. Proprio lui che in difesa, nella vita, non giocò mai: fu paracadutista volontario in guerra e poi partigiano nella Resistenza. Il suo vanto di combattente? Quello di non avere mai ammazzato nessuno. Brera visse di parole, del fumo di pipa e sigaro che lo accompagnavano, dell’amore per il vino e la gastronomia, del suo dialetto milanese. Il gran lombardo favoleggiò il ciclismo, la boxe, il calcio con uno stile immortale. Oggi citato e citato ancora, pure inconsapevolmente, dai cronisti di mezzo mondo. A dimostrazione che stili di gioco, dinastie calcistiche e metodi di allenamento passano. Lui, invece, resta. Lassù. Pietra miliare del giornalismo italiano e mondiale.

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