Sono passati poco più di due anni da quel 19 maggio 2020, data che ha sancito la nascita di quello che sarebbe dovuto essere lo strumento chiave per rilanciare il mondo dell'edilizia. Due anni in cui il superbonus 110% ha attraversato due fasi (quella correttiva e quella involutiva) e ha lasciato un buco da 33,8 miliardi di euro, tanti sono i soldi stanziati dal governo per il periodo 2022/2023. E presto finiti, con largo anticipo rispetto al previsto.
Tanti, troppi i problemi sollevati da un bonus che si va a sommare agli altri incentivi edilizi che solo nel 2021 hanno portato a un'evasione pari a 47 miliardi di euro. Troppi, tra cui quello del controllo, insufficiente nonostante i 4 livelli di verifica che non hanno saputo fare da vero filtro davanti all'enorme mole di richieste arrivate.
Le maglie larghe del superbonus hanno lasciato passare diseguaglianze geografiche e sociali. Dati forniti dall'Osservatorio 110% indicano come la maggior parte delle richieste per il sussidio siano arrivate dal Nord, in particolare dai centri urbani, a discapito delle periferie, anzitutto quelle centro-meridionali che invece avrebbero potuto maggiormente beneficiare dell'aiuto dello Stato. Ma hanno soprattutto concesso terreno fertile per la speculazione e la nascita di società improvvisate e inaffidabili, nate appositamente per beneficiare del flusso di fondi nella convinzione che "tanto paga lo Stato".
Un concorso di colpe che ha portato, a gennaio 2022, alla modifica dei plafond di cessione del credito con la conseguente interruzione dei lavori e l'annuncio, arrivato pochi mesi dopo, che il superbonus non sarà rinnovato. Arriva così il riconoscimento dell'insuccesso di una misura che non solo ha fallito nel suo intento di risollevare il comparto dell'edilizia, drogando il mercato, ma che con l'incertezza e il caos generati non ha fatto altro che danneggiare un settore già in crisi e i privati che a quei "soggetti improvvisati" si sono affidati.