Catalogna, referendum: cronaca di un "braccio di ferro" annunciato

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Nel gennaio del 2016, l’allora Presidente catalano, Artur Mas, passa il testimone a Carles Puigdemont.

Si tratta di un pensionamento forzato, per fare in modo che la coalizione “Insieme per il Sì” possa governare la Catalogna, col proposito di velocizzare il processo di indipendenza dalla Spagna.

Senza la maggioranza assoluta, è questo il prezzo da pagare per ottenere il sostegno dei deputati di Unità Popolare.

A dicembre dello stesso anno, i gruppi secessionisti si riuniscono a Barcellona e decidono la data del referendum, previsto per settembre 2017.

“Siamo uniti, questa è la volontà dei catalani: indire un referendum su quello che sarà il futuro rapporto tra la Catalogna e la Spagna e farlo in accordo con lo Stato spagnolo”





Nonostante il leader catalano sia ricevuto a Madrid, la posizione del Governo spagnolo non è malleabile: così come avvenuto con Artur Mas, infatti, il Primo Ministro, Mariano Rajoy, rende noto anche al suo successore, Carles Puigdemont, che il referendum risulterebbe illegale, e quindi nullo.

La Corte Costituzionale spagnola, intanto, fornisce parere contrario, bloccando la macchina referendaria e notificando il tutto a Puigdemont ed al Presidente del Parlamento catalano, Carme Forcadell.

Quest’ultima, peraltro, risulta essere sotto inchiesta per aver avallato una serie di risoluzioni parlamentari che facilitino il processo di indipendenza.

Ad ingarbugliare ulteriormente la situazione, inoltre, arriva l’annuncio del Governo catalano di attivare, a far data dal 1 luglio prossimo, il sistema informatico che permetterebbe il recupero di tutte le tasse pagate dai catalani, inclusi quelli attualmente raccolti dallo Stato.

Con 7,5 milioni di abitanti, la Catalogna è una delle regioni più ricche di Spagna, in cui vige un sentimento nazionalista molto forte.

Secondo un sondaggio effettuato lo scorso dicembre, circa la metà dei suoi abitanti sarebbe favorevole all’indipendenza.

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