RUGGERO II E IL SUO ILLUMINATO REGNO IN SICILIA - dalla Storia d'Italia di P.Giudici

Pellegrino Mancini 2015-03-21

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BUONA DOMENICA CON LA STORIA! - di R.Mancini
Dalla STORIA D’ITALIA di Paolo Giudici
Sei volumi della Editrice Nerbini - Firenze 1956
Illustrazioni di Tancredi Scarpelli

60) RUGGERO II L’ILLUMINATO SOVRANO DI SICILIA -
Mai s’era vista assurgere a tanta potenza, dopo pochi lustri dalla sua costituzione, una monarchia e ciò fu grande gloria di Ruggero II il quale seppe mantenere nei suoi domini quanto di buono v’aveva trovato, seppe con la sua saggezza stringere in un saldo organismo popoli diversissimi per razza, temperamento, religione e civiltà, seppe promuovere le industrie e rivaleggiare nel commercio con le floridissime repubbliche di Pisa Venezia e Genova, proteggere le arti e la cultura chiamando intorno a sé da ogni paese eletti ingegni, e abbagliare con lo sfarzo della sua corte, da nessun’altra del suo tempo superata.
“Lo seduceva a preferenza- scrive il La Lumia – quella civiltà musulmana della quale in Sicilia e in Palermo viveva e si spiegava il prestigio: il nuovo trono cristiano si circondava di pompa e di splendore orientale. Uno storico arabo potè lodare più tardi il monarca normanno di avere preferito agli usi dei franchi quelli dei sovrani Moslemi; lodarlo di una imparziale giustizia che nei suoi tribunali esercitavasi contro il suo stesso figliolo: attestare l’amore meritatosi dai saraceni suoi sudditi ch’ei proteggeva contro i franchi.
Una cancelleria musulmana: musulmane la finanza, la zecca, le legende di cui la moneta improntavasi: i musulmani frequentavano le sale del palazzo, occupavano alti uffici, sedevano nelle regge consulte: parecchi mostravano per forma accettare il vangelo: pur nessuno procurava indagare la sincerità di conversioni assai dubbie. La tolleranza durava interissima. La guardia del re si componeva di arcieri saraceni. Il castello di un nuovo barone, un villaggio degli arabi, un’antica città di denominazione greca o romana, una fresca colonia lombarda, di quelle introdotte dal conte, e taluna forse arrivata più tardi, potevano trovarsi in Sicilia nello spazio di poche miglia soltanto: nella stessa città, colla vecchia popolazione nativa, un quartiere di saraceni o di ebrei, un altro di franchi, di amalfitani o pisani; e per tutto in quei diversi abitanti, con un tipo loro proprio, le tranquille apparenze di concordia reciproca.
L’arte, ereditando le tradizioni degli arabi, e accoppiandovi insieme i cristiani elementi, alzava edifici di magnificenza incredibile. La reggia e la cappella di San Pietro in Palermo, il duomo di Cefalù, il castello di Faworah: e dinanzi a quelle moli superbe la curiosa attenzione di chi giungeva d’occidente rimanevasi abbagliata.
Quattro figli ebbe, come altrove abbiamo detto il re di Sicilia; ma di questi non gliene sopravvisse che uno: Gugliemo, il terzogenito, chè Enrico, il minore di tutti morì in tenera età.

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