Sono passati dieci anni, ma l’emozione è ancora forte: 230.000 morti in 14 Paesi, uccisi dallo tsunami che si scatenò dopo il terzo più potente sisma mai registrato. A Banda Aceh, in Indonesia, dove si contò il maggior numero di morti, si è tenuta una preghiera collettiva nella grande moschea Baiturrahman.
“Spero che Dio porti i fratelli e le sorelle dell’Islam che sono morti in un posto migliore, perché Dio li ha chiamati a se”, dice un fedele musulmano.
In Indonesia si tengono le principali cerimonie, e c‘è anche il museo dello Tsunami.
In India, a Chennai, gli abitanti dei villaggi costieri e i pescatori non ce la fanno:
“Nel corso dello tsunami abbiamo perso i nostri figli, i nostri vicini, tutto. Il governo ha provato ad aiutarci, ma non ha funzionato niente. Siamo ancora poveri e senza speranza”.
Il Tamil Nadu è lo Stato indiano che fu più pesantemente colpito: l’intervento pubblico ci fu, ma rimpiazzare una rete sociale divorata dall’acqua è impossibile. La gran parte degli abitanti, però, da qui non vuole spostarsi.