La Scozia decide, la lunga strada per il referendum e quell'odio per la Thatcher

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Scozia e Inghilterra sono unite da oltre 300 anni. Solo negli ultimi decenni le richieste di indipendenza sono diventate più forti. Nel 2012, il Primo Ministro britannico ha dato il via libera al referendum, un sogno coltivato per lungo tempo dal Partito nazionalista scozzese, la cui ascesa politica è legata al desiderio di indipendenza da Londra.

“La strada per arrivare al referendum è stata lunga – ricorda la giornalista di euronews, Joanna Gill – Si ebbe un’accellerazione dopo il decentramento del ’99, introdotto per uccidere il nazionalismo. Ma perché non è accaduto?”

Il giornalista e storico David Torrance ha cercato di dare una risposta: “Inizialmente sembrava che il Partito nazionalista scozzese non potesse farcela – dice Torrance – Ma nel corso del tempo, la semplice esistenza del parlamento scozzese ha dato modo allo SNP di espandere il consenso, radicarsi e, naturalmente, entrare nel governo. Questo passo ha permesso una crescita ancora maggiore, che è riuscita a portarci dove siamo ora, al referendum”.

Il consenso dei nazionalisti scozzesi ha sorpassato quello dei principali partiti politici in Scozia, fino alla schiacciante vittoria del 2011 alle elezioni parlamentari scozzesi. Laburisti, conservatori e liberaldemocratici sono stati screditati da una serie di scandali, dalla cattiva gestione della crisi finanziaria e dalle impopolari politiche di austerità. L’SNP ha capitalizzato questa disaffezione.

“Nel 1950, veniva considerata una forza estremista. Ma poi c‘è stato un passaggio cruciale, quello dal nazionalismo etnico al nazionalismo civico – spiega sir Tom Devine, storico – Cioè, non importa dove tu sia nato se sostieni la causa dell’indipendenza. Il secondo cambiamento è avvenuto quando ha di fatto sostituito il vecchio Labour: il moderno Partito nazionalista scozzese oggi è più laburista dei Labour”.

Fa il resto il ventennio thatcheriano. Molti scozzesi vedono nel New Labour gli eredi del governo conservatore di Margaret Thatcher e delle sue politiche di deindustrializzazione avviate nel 1980. Politiche che causarono una disoccupazione di massa in Scozia, dove tutti odiarono la Lady di Ferro. Il sospetto che i Tory usarono la Scozia come laboratorio di misure impopolari diede agli scozzesi la sensazione di essere cittadini di serie B.

“La più grande eredità della Thatcher è quella sensazione di essere uno spazio sperimentale per nuove e rigide politiche, prima di applicarle in Inghilterra – spiega il professor Tom Webster dell’Università di edimburgo – Quindi, si diffuse l’idea di essere un laboratorio per gli interessi inglesi”.

La Thatcher è stata il catalizzatore per gli anti-Westminster e per gli anti-conservatori, ma è il petrolio del Mare del Nord che convince l’opinione pubblica della reale possibilità di avere una Scozia indipendente.

“Certamente, negli ultimi due anni non abbiamo mai smesso di parlare del petrolio del Mare del Nord. Non tanto come questione attuale, perché è ormai una risorsa in diminuzione – aggiunge David Torrance – Ma nel 1979 e per gran parte degli anni ’80, riversò una quantità colossale di denaro nelle casse del Regno Unito e, pertanto, nel contesto scozzese, nel contesto del dibattito sull’indipendenza, ha svolto un ruolo molto importante”.

In qualunque modo la Scozia voti, il referendum ha già cambiato il panorama politico del Regno Unito e questa potrebbe non essere l’ultima volta che sentiamo parlare di indipendenza della Scozia.

“Il genio è uscito dalla lampada – conclude lo storico Tom Devine – e non farà più marcia indietro”.

“Gli unionisti speravano in una ampia maggioranza per mettere in soffitta le istanze di indipendenza, ma i recenti sondaggi giudicano improbabile questa eventualità – conclude la giornalista di euronews a Edimburgo, Joanna Gill – Non importa quale sia l’esito, gli scozzesi hanno già impresso il loro marchio nella storia del Regno Unito e tutti gli occhi ora sono puntati sul futuro del paese”.

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