Vela, Yvann Bourgnon: il giro del mondo alla "vecchia maniera"

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Navigare intorno al mondo su un’imbarcazione lunga meno di 7 metri e senza nessun aiuto tecnologico per orientarsi. E’ la sfida di Yvan Bourgnon. Lo skipper svizzero, vincitore nel ’97 della Jacques Vabre assieme al fratello Lawrence, è partito lo scorso 5 ottobre dal porto francese di Sables d’Olonne con l’obiettivo di attraversare l’Atlantico e poi il Pacifico.

Il viaggio di Bourgnon si è interrotto bruscamente a causa di un naufragio sulle coste dello Sri Lanka. Lo skipper svizzero ha raccontato la sua Odissea a Euronews.

euronews: Sei conosciuto dal grande pubblico per le tue traversate transatlantiche. Per questo giro del mondo hai deciso di mettere da parte il tuo trimarano e di usare un piccolo catamarano senza l’ausilio della moderna tecnologia. Cosa ti ha spinto a navigare alla vecchia maniera?

Yvan Bourgnon: “Quand’ero piccolo ho avuto il grande vantaggio di andare per mare con i miei genitori. Navigavamo senza l’aiuto della tecnologia, alla maniera di Tabarly e Moitessier. Visto che ho imparato anche io a farlo, mi è venuta voglia di tornare ai rudimenti della vela: navigare senza aiuti elettronici, previsioni del tempo e alcun tipo di assitenza. Ma soprattutto volevo stare a contatto con il mare, senza stare a fissare sempre un computer. E in caso di tempesta affrontarla e gestirla, senza rifugiarsi in cabina”.

euronews: Come hai fatto ad orientarti visto che non avevi con te un nemmeno un GPS?

Yvan Bourgnon: “I miei genitori mi hanno insegnato a navigare con il sestante quand’ero piccolo e sono sempre stato affascinato dall’astronomia. Mi sono divertito a cercare le stelle come facevo quando ero piccolo e a orientarmi grazie al cielo. E’ stata un grande soddisfazione trovare la propria posizione sulla carta navale semplicemente calcolando l’angolo tra il sole e l’orizzonte e tra il sole e le altre stelle. Davvero magnifico”.

euronews: E’ stato un problema non avere quasi nessun modo di comunicare con l’esterno?

Yvan Bourgnon: “Sì, soprattutto il fatto di non avere alcuna assistenza meteo. Oggi, ormai, anche in regate come la Vendée Globe i navigatori dispongono di previsioni meteo molto accurate, e possono evitare cicloni e tempeste. Io al contrario mi sono ritrovato nel bel mezzo di una tempesta senza neanche accorgermene, perché non avevo nessuna informazione. In questo modo devi imparare a navigare con quello che hai a disposizione, e in alcuni casi sperare di avere Dio al tuo fianco”.

euronews: Com‘è stato ritrovarsi nel bel mezzo di una tempesta a bordo di una barca così piccola?

Yvan Bourgnon: “Nel corso di questo viaggio ho attraversato più di cinque tempeste con venti che soffiavano a più di 100 chilometri orari. All’improvviso le onde diventano più grandi della barca. Non puoi più contare sulle vele, devi solo cercare di controllare la barca in balia delle onde. E’ così leggera che, spinta dal vento, può raggiungere i 50 chilometri all’ora, anche senza vele. E’ come se volasse. In alcuni casi ho dovuto rallentarla con un’ancora galleggiante, una tecnica che ho imparato nel corso degli anni.

Mi sono anche ribaltato in due occasioni. Ho dovuto imparare come raddrizzare la barca da solo, procedura non semplice visto che pesa comunque quasi 300 chili e che richiedeva ogni volta dalle due alle tre ore per una persona piccola, anche se forte, come me.

La seconda volta mi sono ribaltato di notte, mi sono ritrovato sott’acqua con l’albero che andava da tutte le parti. In quel caso bisogna ammainare le vele, salire in cima allo scafo e far ruotare l’albero. E’ un’operazione molto pericolosa.

euronews: Il primo agosto sei naufragato nello Sri Lanka.

Yvan Bourgnon: “Mi sono addormentato per cinque minuti, solo cinque, ed è successo. La barca era distrutta. Dopo tutto quel viaggio, mi sono ritrovato come un idiota sugli scogli. Ma erano quattro giorni che non dormivo. Ho dato tutto per questa sfida, e ancora mi chiedo come ho fatto a sbagliare in quel modo”.

euronews: Spiegaci cosa è successo.

Yvan Bourgnon: “E’ accaduto alla fine della parte più difficile del mio viaggio, la traversata dell’Oceano Indiano. Ho dovuto affrontare i monsoni in ben due occasioni, con venti che soffiavano a oltre 100 chilometri e violenti temporali che duravano più di 12 ore. Mi è capitato due volte nel giro di tre giorni. Ne sono uscito frastornato. Poi sono arrivati forti venti contrari che sono andati avanti per otto giorni, senza mai darmi tregua. Negli ultimi quattro giorni dormire era praticamente impossibile. E’ stato davvero un sollievo quando ho avvistato la costa. A quel punto mi sono detto: ‘Se non è un’allucinazione, posso finalmente respirare’.

Poco prima dell’arrivo il vento per miracolo si è calmato e ho pensato che fosse arrivato il momento di dormire un po’. Volevo recuperare un po’ di energie prima di entrare in porto. Ma dopo che mi sono addormentato il pilota automatico si è disattivato. Quando mi sono risvegliato la barca era già in balia delle onde e l’impatto sugli scogli è stat

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