Yazidi, una comunità da sempre vittima di persecuzioni

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Saranno una cinquantina o poco più, ma continuano ad affluire in questo campo di addestramento vicino al Kurdistan iracheno. Sono membri della minoranza yazida: hanno visto intere famiglie della loro comunità sterminate dagli jihadisti dello Stato Islamico. Braccati come animali, hanno scelto di combattere a fianco dei peshmerga.

“Siamo qui per completare l’addestramento – afferma Hussein Mired – vogliamo poter difendere le nostre famiglie, il nostro onore e la nostra terra. Le forze curde ci hanno aiutato e ora ci stanno addestrando: ci hanno rifornito di cibo, uniformi e armi”.

Su questa minoranza, pressoché ignota al grande pubblico fino a poche settimane fa, si è scatenata la ferocia e il fanatismo dell’IS. Ma la storia della popolazione yazida ha conosciuto diverse persecuzioni.

Originari dell’antica Mesopotamia, sono presenti in questa regione dell’Iraq da millenni. Etnicamente sono vicini ai curdi, ma non si considerano tali. La loro religione, forse più antica dello zoroastrismo, risente di influenze musulmane, giudaiche e cristiane, ma non si basa su un testo sacro.

Venerato come un angelo è Malek Taous, il pavone, considerato simbolo del demonio nell’Islam. E’ anche da questo particolare che scaturisce l’odio degli jihadisti nei confronti di questa comunità, già in passato vittima di persecuzioni: come nel 19esimo secolo, da parte dell’Impero ottomano. Un massacro che spinse molti yazidi a rifugiarsi in Asia centrale.

Oggi, sono presenti soprattutto in Iraq, dove sarebbero tra 200 e 500mila. Intorno ai centomila sono disseminati tra Georgia, Armenia e Azerbaijan. Tra 10 e 20mila in Siria. In Europa, è la Germania che ospita la più numerosa comunità yazida. Ma la ferocia dell’IS potrebbe riscrivere questi numeri.

“Non so se saremo mai in grado di tornare a casa, sui monti Sinjar – dice un rifugiato – Se le cose non cambieranno, non potremo mai più tornare. Se ci andassimo adesso, non sopravviveremmo un solo giorno”.

Molti di questi bambini, intrappolati per settimane sulle alture del Sinjar, sono sopravvissuti solo grazie agli aiuti umanitari avio-trasportati dai Paesi occidentali. Molti altri non hanno retto alle privazioni e alle marce estenuanti per fuggire ai loro persecutori.

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