La 49esima edizione del Festival internazionale del cinema di Karlovy Vary si è aperta all’insegna di un nome tanto famoso quanto controverso: Mel Gibson.
Le polemiche che ormai accompagnano ogni uscita della star di origini australiane non hanno mancato di far capolino anche nella nota località termale della Repubblica Ceca.
Il 58enne regista del discusso “La Passione di Cristo”, nonché protagonista, dopo i film d’azione, di episodi a sfondo antisemita, ha ricevuto il “Globo di Cristallo” alla carriera.
Scelta difesa comunque dagli organizzatori del festival a fronte delle proteste della comunità ebraica.
“È proprio il genere di cosa che desideravo, il tipo di fantasia che ho sempre avuto: una donna nuda che regge una sfera. È fantastico! ...uh, accidenti, sono ancora in pieno jet-lag!”, “, ha scherzato Mel parlando del trofeo.
Quindi, una riflessione sulla sua variegata carriera cinematografica: “La vera gratificazione viene dal raccontare storie”, ha detto. “Quando vedi gli occhi dei bambini che si illuminano o quando il pubblico reagisce. Stavo guardando la platea presente qui questa sera: ad un certo punto si sono emozionati per qualcosa che ho fatto e questa è la cosa più gratificante”.
“Mi riporta sempre con i piedi per terra pensare che ciò che ho da offrire, le cose più semplici – impregnate di tutta l’insicurezza degli attori, di tutta l’insicurezza dell’artista – quelle cose vengono davvero recepite in molti casi”, ha concluso.
Sottoposta a lungo ai dettami del regime sovietico, la manifestazione si è in seguito sviluppata come vetrina per i registi dei Paesi un tempo parte del blocco.
Tra le pellicole in gara quest’anno svetta, ad esempio, “Bota” dei due registi albanesi Iris Elezi e Thomas Logoreci.
Il film narra le vicende di alcuni personaggi che popolano una tavola calda situata in una regione molto remota del Paese.
Una località dove, ai tempi dell’Unione Sovietica, venivano deportate intere famiglie e dove il passato si fonde con il presente, nonostante una sorta di oblìo collettivo che sembra regnare tra la popolazione.
“Esiste una sorta di amnesia, un’amnesia selettiva che abbiamo nella nostra cultura”, commenta Iris Elezi. “Ed io credo che il motivo sia perché è troppo doloroso guardare ciò che abbiamo appena fatto o comprendere che, seppur in modo ingenuo o innocente, siamo comunque stati parte di qualcosa di grosso e cattivo”.
Di tutt’altro tenore è “Afterlife” (letteralmente ‘aldilà’), opera di debutto della scrittrice e regista ungherese Virág Zomborácz.
Incentrato sul tema della scomparsa di una persona cara, il film tratta l’elaborazione del lutto con elementi drammatici misti a situazioni surreali.
“Tutto questo è cominciato con dei sogni”, racconta la regista. “Ho fatto numerosi sogni in cui mio padre era un fantasma. Nel mio sogno lui non si sapeva chi era, che era morto e non riconosceva la sua famiglia. Per cui, questa è diventata l’idea principale del film dato che più tardi mi sono appassionato di letteratura spiritica, anche se in modo scientifico”.
La pellicola vede protagonista Mózes, un uomo molto insicuro che ha una relazione difficile con l’autoritario padre.
Un giorno, quest’ultimo muore, salvo poi ritornare come fantasma, visibile soltanto dallo stesso Mózes.
Una convivenza strana, quella che si instaura tra i due, che porterà il giovane uomo a rivalutare la relazione con il genitore e, allo stesso tempo, a prendere in mano la propria vita.
Il film è uno dei 12 in gara al Festival del cinema di Karlovy Vary, che si chiude il 12 luglio.