Più radicali di Al Qaeda. L'Iraq e i jihadisti che fanno comodo ad Assad

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La sua bandiera sventola ormai sul pennone più alto del jihadismo mondiale. Più radicale di Al Qaeda e, secondo la vulgata, ripudiato dallo stesso Al-Zawahiri per la brutalità dei suoi metodi, lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante si è in pochi anni affermato come più minacciosa realtà della galassia integralista sunnita.

Obiettivo del gruppo è ripensare la geografia mediorientale, per piegare i confini politici a uno stato islamico transnazionale, da cui sferrare una guerra santa su scala globale.

Rivelatore delle ambizioni del gruppo è il suo stesso nome: uno stato islamico che dall’Iraq vorrebbe estendersi fino al levante, lo “Sham” che in arabo si spinge dalla Siria e la Giordania, fino all’Egitto.

A portarlo alla ribalta è Abu Bakr Al-Baghdadi, leader dalla biografia lacunosa e romanzesca, che molti già considerano il nuovo Bin Laden.

Di lui circolano appena due foto ufficiali e quel poco che si sa è bastato agli Stati Uniti per mettere sulla sua testa una taglia da 10 milioni di dollari.

I militari statunitensi impegnati in Iraq fanno la sua conoscenza nel 2005, quando finisce nel campo di prigionia americano di Bucca, da cui esce 4 anni dopo.

Ed è proprio dietro le sbarre che, dall’incontro con alcuni esponenti di Al Qaeda, nasce con ogni probabilità il progetto dell’ISIS, l’acronimo che designa lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante. E da allora, complice il conflitto siriano, l’ascesa è quasi folgorante.

La spettacolare presa di Mosul degli scorsi giorni non ha fatto che confermare come a brutalità e spietatezza per cui si era già fatto conoscere, il gruppo sposi ormai anche una sorprendente preparazione strategica e militare.

E strategica era stata in passato anche la presa delle raffinerie della regione siriana di Deir el-Zor. Una mossa che, alla luce della recente offensiva al polo petrolifero iracheno di Baiji, sembra delineare un piano volto ad assumere il controllo delle risorse strategiche.

A riempire le casse del gruppo sono altrimenti i dazi imposti nelle regioni controllate e, con ogni probabilità, profumate donazioni private dalle monarchie del Golfo.

Bashar Al-Assad, che in patria spera nelle tensioni fra Isis e islamisti di Al-Nusra per indebolire l’opposizione, pubblicamente ha offerto il proprio sostegno a Nuri Al-Maliki.

Sempre più in difficoltà, la dirigenza sciita del Paese si trova peraltro a far fronte anche al sodalizio stretto dall’ISIS, con il cosiddetto Esercito di Naqshbandi, gruppo baathista, guidato dall’ex numero due di Saddam Hussein.

Emblema di un passato che, a 11 anni dall’invasione americana, ritorna con prepotenza nella forma di un jihadismo virulento, che con i suoi modi e le sue rivendicazioni, mette paura al mondo.

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