In Afghanistan si torna alle urne il 5 aprile per eleggere il presidente: è la terza volta dalla caduta del regime talebano.
Gli intrighi diffusi, tuttavia, hanno rovinato ogni elezione; nel 2009 sono stati annullati più di 1 milione di voti e oggi, la situazione non sembra essere diversa. Anche i principali candidati si preoccupano dei possibili “brogli su scala industriale”.
La costituzione proibisce a Hamid Karzai di correre di nuovo e di fatto queste elezioni rappresentano il primo effettivo cambio di potere democratico.
Ma, Karzai ha fatto sapere che non vuole scomparire completamente dalla scena politica e caldeggia la propria candidatura come ambasciatore.
Nelle immagini: da sinistra Zalmai Rassoul, Abdullah Abdullah (in alto a destra) e Ashraf Ghani Ahmadzai (in basso a sinistra).
Fra i tre favoriti, l’uomo che piú si addice a compiacere le richieste di Karzai è Zalmai Rassoul, ex ministro degli esteri e sostenuto anche dai fratelli del presidente uscente.
Sebbene un po’ indietro nei sondaggi, l’influenza di Karzai potrebbe dargli un leggero vantaggio sugli ex ministri Abdullah Abdullah e Ashraf Ghani Ahmadzi.
Nessun candidato dovrebbe ottenere più del 50 per cento, a causa delle numerose differenze etniche e razziale presenti nel paese. Così si prevede un ballottaggio e altre sei settimane di attesa.
I Talebani hanno promesso di far saltare le elezioni e di recente, a Kabul, sono stati messi in atto attacchi mortali contro afgani e stranieri. Due gli attentati nel giro di una settimana contro la Commissione Internazionale (indipendente) per le Elezioni. Ma, nonostante l’escalation di violenza, in molti sono determinati a prendere parte allo storico voto.
“Mi fido delle capacità delle forze di sicurezza afgane – dice Sardar Wali, commerciante – e sono sicuro che saranno in grado di tutelare le elezioni. Ogni cittadino deve poter votare il proprio candidato”.
Per l’Afghanistan, le elezioni non significano solo un nuovo leader, ma sicurezza, prosperità e stabilità futura appese a un filo.
Javid Kohistani, esperto militare spiega: “Se l’accordo bilaterale sulla sicurezza non sarà siglato con gli Stati Uniti, allora ci saranno zero opportunità per il paese e gli aiuti internazionali saranno bloccati. Le forze afgane non son in grado di contrastare i terroristi e le minacce dei fondamentalisti senza il supporto delle truppe straniere”.
Le truppe straniere, che hanno garantito l’ordine dopo la caduta dei talebani nel 2001, a fine anno se ne sono dovute andare e le forze di sicurezza interne hanno ancora molto da imparare.
Lo scenario da incubo post-elezioni potrebbe trasformarsi in un propulsore per i gruppi armati posizionati lungo la frontiera afghano-pakistana, in grado di facilitare il loro movimento attraverso la frontiera già bucherellata e quindi dentro la regione.