Crimea: un melting pot in balia della tempesta

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Le onde della storia hanno raggiunto ancora una volta le spiagge della Crimea. Il referendum per la separazione della penisola dall’Ucraina è arrivato come una tempesta a pochi giorni dall’inizio della primavera.

Siamo a Yevpatoriya, città situata a una sessantina di chilometri a nord ovest di Sinferopoli. La composizione della sua popolazione riflette il mosaico della gente di Crimea. Qui convivono russi, tatari, ucraini ma anche ebrei, armeni e greci. L’idea di entrare a far parte della Federazione Russa lascia perplesso
Alexander Dzhulay, responsabile dell’associazione commerciale locale: “Se per 23 anni l’Ucraina ha seguito un percorso di sviluppo e c’era la prospettiva di condividere i valori europei, valori umani, valori come la libertà di concorrenza, libertà e rispetto dei diritti umani, ora sono spaventato. Cosa ne sarà di noi? Perché da quello che capisco, anche leggendo la stampa, e soprattutto parlando con amici, molti dei quali vivono in Russia, è che nella migliore delle ipotesi il nostro sviluppo si arresterà. Nella peggiore arretrerà”.

Alexander è per metà russo e per metà ucraino. Ci racconta che molti di coloro che si proclamano russi in realtà discendono da etnie diverse, proprio come lui. Ci presenta al direttore centro benessere ‘Izumrud’, smeraldo in russo. I Questi centri erano motivo di attrazione in Crimea all’epoca dell’Unione Sovietica. Come allora restano delle strutture dedicate al benessere per ogni categoria sociale.

‘Izumrud’ appartiene attualmente al ministero dell’Interno. Ci hanno spiegato che in Crimea queste strutture rappresentano ancora il 30% del giro d’affari legato al turismo. Ma le cifre non sono ufficiali. Il direttore Sergey Ignatenko, dopo il risultato del voto, appare comunque ottimista: “Il proprietario di questo centro può cambiare o meno. Forse diventerà il ministero dell’Interno della Federazione Russa, forse il ministero dell’Interno della Repubblica Autonoma di Crimea. Prima della rivoluzione di Crimea c’erano resort medici per la salute e la gente veniva in Crimea in vacanza per trattamenti sanitari. All’epoca dell’Unione Sovietica le persone venivano qui per queste strutture. Anche sotto l’Ucraina curavamo le persone per cui non importa quel che accadrà ora: credo che la Crimea sia stata, lo sia e sarà sempre un luogo in cui le persone arrivano per rafforzare la propria salute e stare meglio”.

Questa struttura venne costruita all’epoca dell’Unione Sovietica. Nonostante ora i clienti sembrino preferire un altro tipo di alloggio turistico, i centri continuano ad attrarre persone provenienti da tutta la zona dell’ex Unione Sovietica. Molti però in Crimea vogliono qualcosa di più dal punto di vista degli investimenti nel settore turistico.

“La rivoluzione – spiega Alexander Dzhulay – è nata nella percezione. La gente si è detta: la legge della vita è la concorrenza, la competizione, non si può andare contro le leggi della vita”.

La posizione pro-Russia, che nel referendum ha ottenuto una vittoria schiacciante, sembra aver riportato agli antichi splendori le strutture che mantengono il vecchio stile sovietico. Agli occhi di molti votanti tornare a far parte della Russia significa riportare in vita l’URSS.

La comunità dei tatari di Crimea ha lottato contro la separazione da Kiev. Dilara Yakubova, dopo il risultato del referendum, teme per il futuro dei propri affari: “La Crimea – ci dice – non è una nave da prendere e ancorare alle sponde russe. Perché tutte le infrastrutture, i sistemi di comunicazione oggi sono legati all’Ucraina. Se questi legami vengono rotti, l’uno dopo l’altro, ipoteticamente puoi unirci alla Russia ma prima occorre una massiccia quantità di denaro, secondo un’enorme quantità di tempo e terzo qui ci vogliono persone che sappiano gestire tempo e denaro quando sarà il momento”

Dilara Yakubova ha investito circa un milione di euro nella costruzione di un nuovo complesso turistico. La sua idea è quella di offrire ai turisti europei un approccio diverso alla Crimea: un approccio attraverso la storia della comunità tatara.
Per altre persone 23 anni sotto Kiev non sono stati un’esperienza positiva, come racconta Ivan Pankin, medico che per vivere fa l’autista: “Se dopo la fine dell’Unione Sovietica speravo davvero che avremmo avuto un futuro brillante, anche se in salita, negli ultimi anni per me e per la gente come me la fiducia nel governo ucraino è andata diminuendo. Perché? Perché non vediamo alcuno sviluppo. Io sono un medico”.

Ismail Akim e Nadye Mustafà sono una coppia di pensionati. Appartengono al gruppo etnico dei tatari di Crimea. Ismail ricorda ancora la deportazione della sua comunità dalla Crimea all’Asia Centrale, avvenuta nel 1944. A quell’epoca era un bambino. Soltanto sotto Mikhail Gorbachov, negli ultimi anni dell’URSS, i tatari poterono tornare a casa. Dopo più di 40 anni di esilio. Ricordi che non si cancellano.

“Voglio solo continuare – spiega Ismail – a far parte dell’Ucraina. Possono darmi un sacco

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