Funerali Sharon. Nei territori palestinesi un giorno di "liberazione"

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Per ogni israeliano che vede nella morte di Ariel Sharon la scomparsa di un grande leader, c‘è un palestinese che esulta letteralmente per la fine di un carnefice. Non ci sono mezzi termini nelle reazioni raccolte a Jenin, in Cisgiordania, dal nostro inviato.

“La morte di Sharon? Che vada all’inferno. Ha solo commesso crimini contro l’umanità. È una bella liberazione” dice un signore sulla sessantina.

“Siamo felicissimi che sia morto” rincara la dose un giovane palestinese. “Ha distrutto la nostra casa a Jenin, ha trasformato in rifugiati la nostra gente”.

“Per i palestinesi è una buona notizia, ha commesso ogni sorta di crimine, dal massacro di Sabra e Shatella negli Anni Ottanta all’attacco alla Moschea Alaqsa nel 2000” ricorda una ragazza.

Nel 1982 durante l’invasione del Libano e l’assedio di Beirut, quando Sharon era Ministro della Difesa nel governo di Menachem Begin, fondatore del Likud, non impedì il massacro di oltre 3.000 civili nei due campi di rifugiati palestinesi a Sud della capitale.

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