Un Recep Tayyip Erdogan determinato, senza segni di cedimento, nonostante il terremoto giudiziario che ha travolto il suo esecutivo, è tornato a gridare al complotto e ad accusare “potenze straniere e suoi oppositori di essere dietro” alla crisi politica turca.
La peggiore negli undici anni di dominio incontrastato del primo ministro e del suo partito che comincia a perdere pezzi, con le recenti defezioni di tre deputati.
In un comizio a Manisa, nell’ovest della Turchia, Erdogan ha parlato di una “campagna di diffamazione” in atto.
L’inchiesta sulla cosiddetta “tangentopoli” turca, ha portato a metà dicembre all’arresto di 52 nomi eccellenti, tra cui i figli di tre ministri.
Il rimpasto di governo messo in atto da Erdogan, che ha sostituito i titolari di quattro dicasteri, non è servito a contenere lo scandalo.
L’instabilità politica ha scosso la florida economia del Paese, con la lira turca scesa ai minimi storici.
Le piazze sono tornate a riempirsi di manifestanti anti-governativi, dopo essere state zittite con il pugno di ferro quest’estate. Sabato migliaia di persone hanno protestato ad Ankara; la sera prima ci sono stati violenti scontri tra polizia e dimostranti in piazza Taksim a Istanbul.
Tutto questo mentre si avvicinano le elezioni amministrative di marzo. Un test delicato per il partito di Erdogan in vista delle legislative del 2015.