Mikhail Khodorkovski viene arrestato il 25 ottobre 2003 e incriminato per frode, appropriazione indebita ed evasione fiscale. All’epoca ha quarant’anni ed è l’uomo più ricco della Russia. Una fortuna accumulata grazie alle privatizzazioni selvagge lanciate da Boris Eltsin.
Pochi mesi prima, era stato il suo braccio destro a finire dietro le sbarre. Platon Lebedev guidava la Menatep, una delle prime banche post-sovietiche private, fondata proprio da Khodorkovski.
L’Occidente non ha mai mancato di sottolineare le motivazioni politico-economiche dietro questi provvedimenti. Il magnate della Youkos era entrato in rotta di collisione con Putin, violando un patto di non belligeranza che il nuovo capo del Cremlino aveva stretto con gli oligarchi moscoviti.
Ma facciamo un passo indietro: nel 1995, Khodorkovski acquista la compagnia petrolifera di stato, Youkos, per 360 milioni di dollari. Briciole, se si considera che in breve tempo, grazie a una gestione spregiudicata e al boom del settore, il gruppo vale 15 miliardi di dollari.
Ma ecco i primi attriti con il Cremlino. Khodorkovski progetta di vendere ai colossi americani Chevron o ExxonMobile, in contrasto con la politica di nazionalizzazione intrapresa da Putin.
Il nuovo uomo forte della Russia era disposto a sorvolare sui modi in cui gli oligarchi si erano arricchiti negli anni Novanta, se in cambio questi si fossero tenuti lontano dalla politica. Una linea rossa che Khodorkovski è deciso a varcare, forse con il sostegno di gruppi di pressione stranieri. La sua scelta di foraggiare apertamente i partiti dell’opposizione liberale è una sfida al potere. Quando è arrestato, nell’ottobre 2003, mancano due mesi alle elezioni legislative. Difficile non vedere in questa tempistica un messaggio politico.
Condannato nel 2005 a 8 anni di carcere, nel corso della sua detenzione in un campo di lavoro in Siberia subisce una nuova condanna fino al 2017 per appropriazione indebita. Dieci anni dietro le sbarre hanno cambiato la percezione pubblica di Khodorkovski: da affarista senza scrupoli a vittima dell’autoritarismo putiniano, regalandogli l’aura del dissidente che non è mai stato.